Il metodo innovativo sarà studiata in Italia e in Svizzera
Dopo avervi parlato del robot Kaspar è oggi la volta delle marionette. Non si tratta di un confronto tra giocattoli tecnologici e vecchi giochi tradizionali, bensì di metodologie riabilitative di successo, dedicate ai bambini affetti da autismo.
Le marionette sono utilizzate per la semplicità e l’efficacia espressiva attraverso le quali il terapeuta può interagire con chi fatica a relazionarsi con l’altro.
Questa metodologia si chiama SAS (Sviluppo Abilità Sociali) ed è stata elaborata da Emanuelle Rossini, docente e ricercatrice del Dipartimento sanità della Supsi (Scuola Universitaria Abilità Sociali). Il metodo è fondato su basi assolutamente scientifiche, e per l’esattezza dalla ricerca di Vittorio Gallese sui neuroni specchio.
LA TERAPIA – La terapia consiste nell’animazione delle marionette da parte del terapeuta, attraverso le quali può simulare con il piccolo paziente situazioni sempre diverse. Le marionette utilizzate sono fatte in maniera tale che le espressioni del volto possano essere modificate in maniera evidente, proprio per stimolare al massimo le reazioni del paziente. Le marionette sostanzialmente mimano le emozioni umane, in un modo abbastanza semplice da essere percepito anche da chi soffre di forme severe di autismo.
La riabilitazione con il metodo SAS si svolge in piccoli gruppi, all’interno dei quali i bambini riescono ad interagire con le marionette. Simulando situazioni semplici il terapista è in grado di aiutare a far capire ai bambini quali azioni inducano una particolare emozione sul volto della marionetta. Attraverso questo tipo di esperienza il bambino riesce a cogliere le analogie con la realtà e a migliorare la sua capacità di comprensione, che con il tempo potrà esercitare anche nei rapporti reali.
La differenza di questa metodica dalle altre è data dall’accento posto sulla cognizione sociale, e non sulle competenze sociali. In questo modo si vogliono fornire al bambino gli strumenti per migliorare la propria consapevolezza, la propria empatia con gli altri e per capire le proprie emozioni. I successi della terapia sono stati davvero grandi, anche in casi di bambini molto piccoli o con deficit cognitivi importanti, da convincere la comunità scientifica ad avviare un progetto di ricerca volto a dimostrarne la validità.
LO STUDIO – Lo studio sarà condotto tra la Svizzera e l’Italia, e coinvolgerà l’Università di Losanna, la Fondazione Ares di Giubiasco, il Dipartimento Socialità e Sanità del Canton Ticino, il Servizio di Neuropediatria di Bellinzona, il Centro La Nostra Famiglia di Como e l’IRCCS “E.Medea” di Bosisio Parini, insieme all’Università di Torino. Lo studio sarà effettuato su un campione di 36 bambini affetti da autismo: 24 faranno riabilitazione con il metodo SAS e 12 con i metodi tradizionale. Oltre a questi 36 sarà considerato un gruppo di confronto costituito da 20 bambini non affetti da autismo.
Saranno presi in considerazione il livello di autismo e il livello cognitivo, ma anche le abilità linguistiche. Sarà infatti scopo dello studio anche capire se le abilità sociali acquisite attraverso la riabilitazione sono in grado di migliorare l’uso del linguaggio in questi bambini.
I NEURONI SPECCHIO - I neuroni specchio sono una specifica classe di neuroni scoperti nelle scimmie e in seguito identificati anche nell’uomo. Attraverso studi scientifici si è potuto constatare che i medesimi neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione, vengono attivati anche nell'osservatore della medesima azione. Tali neuroni vengono attivati anche nei portatori di amputazioni o plegie degli arti, nel caso di movimenti degli arti, nonché in soggetti ipovedenti o ciechi: per esempio basta il rumore dell'acqua versata da una brocca in un bicchiere per l'attivazione, nell'individuo cieco, dei medesimi neuroni che sono attivati in chi esegue l'azione del versare l'acqua nel bicchiere.
Le ipotesi avanzate in questo senso riguardano le forme di autismo più severo: pare infatti che alcuni soggetti che ne sono affetti non siano in grado di innescare questo circuito fondamentale per empatizzare con l’altro.
Secondo lo studio di Gallese, riconoscendo l’emozione provata dalla marionetta i piccoli pazienti sono così in grado di attivare nel proprio cervello gli stessi neuroni che attiverebbero provando loro stessi quell’emozione.
Per info:
IRCCS "E. MEDEA"
http://www.emedea.it/
ufficio.stampa@bp.lnf.it
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